Fin dalla fine del XIX secolo, i sessuologi si sono occupati dei disturbi di ipersessualità, che sono poi stati caratterizzati nel secolo XX dai tratti della promiscuità protratta e denominati, nell’uomo, “dongiovannismo” (Stoller, 1975) o “satiriasi” (Allen, 1969) e, nella donna, “ninfomania” (Ellis e Sagarin, 1965), anche se oggi siffatte denominazioni appaiono superate in quanto non si riferiscono a gruppi omogenei di soggetti.
Nel DSM i disturbi di ipersessualità non hanno mai raggiunto la dignità di diagnosi specifiche, ma sono sempre stati inseriti nei Disturbi Sessuali NAS, a partire dal DSM-III (APA, 1980).
Nel 2010 Kafka ha proposto l’introduzione di una nuova entità nosologica nel DSM-5: il disturbo ipersessuale (hypersexual disorder), i cui criteri diagnostici possono essere così riassunti:
- Per un periodo di almeno sei mesi, ricorrenti e intensi impulsi sessuali, fantasie e comportamenti sessuali in associazione con quattro o più dei seguenti cinque criteri:
- 1) tempo eccessivo viene impiegato in questi impulsi e fantasie e nella progettazione dei comportamenti sessuali e nella loro messa in atto; 2) impegno ripetitivo in fantasie, impulsi e comportamenti sessuali in risposta a stati disforici (per es. ansia, depressione, noia, irritabilità); 3) impegno ripetitivo in fantasie, impulsi e comportamenti sessuali in risposta a eventi stressanti di vita; 4) ripetuti ma falliti tentativi di controllare o ridurre significativamente fantasie, impulsi e comportamenti sessuali; 5) impegno ripetitivo in comportamenti sessuali senza considerarne il rischio di danno fisico o emotivo a sé o agli altri.
- Tali fantasie, impulsi e comportamenti sessuali producono disagio o deterioramento personale clinicamente significativo o in altre aree importanti di funzionamento.
- Tali fantasie, impulsi e comportamenti sessuali non sono dovute direttamente agli effetti fisiologici di una sostanza esogena (per es. farmaci o sostanze d’abuso), a una concomitante condizione medica o a episodi maniacali.
- La persona ha almeno 18 anni.
- Si specifica associata a masturbazione, pornografia, comportamenti sessuali con adulti consenzienti, cybersesso, sesso telefonico, locali o club di intrattenimento per adulti, o altro. Si specifica anche se è in remissione o se la persona si trova chiuso in un ambiente controllato.
In generale, tale categoria di disturbi è stata concettualizzata in due modi distinti: come “sindrome comportamentale a carattere di dipendenza” (Orford, 1978; 1985; Carnes, 1983; 1989; 1990; 1991) oppure come “compulsività sessuale” (Quadland, 1983; 1985).
Il primo tipo di interpretazione sostiene che comportamenti sessuali appetitivi e consumatori eccessivi possono venire a costituire una sindrome vera e propria di dipendenza, in assenza di una sostanza esogena di abuso; tale posizione ha avuto grande diffusione nei mass media ed è stata applicata a persone che presentano comportamenti ipersessuali sia parafilici sia non parafilici caratterizzati da discontrollo volizionale e degli impulsi con gravi conseguenze psicosociali.
La seconda prospettiva, dopo i primi lavori di Quadland, è stata in particolare propugnata da Coleman (1986; 1987; 1992) e il termine di compulsività sessuale è stato accolto anche da altri autori.
Entrambe le prospettive condividono alcuni punti.
Innanzitutto, sebbene le denominazioni varino, le due posizioni descrivono fondamentalmente lo stesso quadro, caratterizzato da: promiscuità sessuale, masturbazione compulsiva, dipendenza dai materiali o linee telefoniche a carattere pornografico, e ipersessualità all’interno di una relazione stabile in misura tale da squilibrarla.
Inoltre, in entrambi i casi si riconosce che la condizione è sostenuta da fattori familiari, ambientali ed evolutivi, pur in presenza di un probabile substrato neurobiologico o di una vulnerabilità genetica; inoltre, il disturbo, che si presenta con maggiore prevalenza nei maschi, avrebbe carattere di elevata recidività, in quanto le condotte ipersessuali sarebbero risposte condizionate a stati affettivi disforici, come ansia, depressione e senso di vergogna.
A parte queste somiglianze le due prospettive divergono per altri importanti aspetti.
Il modello della dipendenza sottolinea come fondamentalmente le condotte ipersessuali costituiscano una “forma di auto-terapia rispetto a problemi di sonno, ansia, dolore, familiari o esistenziali” (Carnes, 1991, pag. 23). I brevi mutamenti del tono affettivo in senso positivo, dovuti al discontrollo sessuale, vengono però ben presto seguiti da sensi di colpa e di vergogna, rimorso e depressione, per ridurre i quali si ricorre nuovamente alle condotte ipersessuali, che vengono così quindi rinforzate negativamente, innescando un circolo vizioso che si autosostenta. Di conseguenza gli autori che sostengono tale punto di vista propugnano un approccio terapeutico basato sul modello dei “12 passi” impiegato dagli Alcolisti Anonimi.
Il modello, invece, della compulsività sessuale concettualizza che i comportamenti sessuali compulsivi (a carattere sia parafilico sia non parafilico) sarebbero mediati dalla riduzione dell’ansia, non dal desiderio sessuale di per sé, e quindi questi disturbi sarebbero clinicamente associati allo spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi (DOC); di conseguenza l’intervento terapeutico più adeguato sarebbe costituito dai farmaci serotoninergici (di cui è ben nota l’efficacia per il DOC) e da psicoterapia individuale e di coppia.